La malattia da decompressione può colpire le balene?

In genere si pensa che i mammiferi marini non soffrano di malattia da decompressione (MDD). Questa convinzione si basa su due assunti: il primo è che l’evoluzione ha permesso loro di adattarsi al mondo subacqueo, il secondo è che la riserva di gas è limitata ad una singola inspirazione. Tuttavia, come spesso succede, la realtà può essere diversa dalle convinzioni più diffuse.

Le segnalazioni aneddotiche di sintomi compatibili con la MDD in subacquei che praticano apnea estrema e le grandi quantità di gas trovate in alcuni mammiferi marini spiaggiati sollevano interrogativi sulle implicazioni decompressive delle immersioni in apnea. Il Woods Hole Oceanographic Institution Marine Mammal Center ha recentemente ospitato un workshop che ha riunito esperti, provenienti da diverse discipline, che hanno passato in rassegna le conoscenze attuali. Il gruppo di studio comprendeva sia specialisti in medicina subacquea, fisiologia umana ed elaborazione di modelli decompressivi, che specialisti in medicina, patologia, anatomia, fisiologia, ecologia e comportamento dei mammiferi marini. I risultati del gruppo di studio sono stati pubblicati in un articolo nei “Proceedings of the Royal Society – Biology” (Atti della Royal Society – Biologia).

Gli effetti della pressione e i rischi di MDD sono ben noti ai subacquei umani. L’aumento della pressione ambiente fa sì che il gas inerte passi dalla riserva di gas compresso nei polmoni e poi in tutto il corpo. Il conseguente eccesso di gas inerte viene eliminato attraverso i polmoni durante e dopo la risalita. Se la riduzione di pressione è troppo grande per una data quantità di gas inerte, nei tessuti si possono formare delle bolle, e può innescarsi una sequenza di eventi che provoca sintomi di MDD. Gli esseri umani controllano lo stress decompressivo limitando l’esposizione all’ambiente subacqueo e/o seguendo tabelle di decompressione ottenute sperimentalmente o da modelli matematici.

I mammiferi marini si immergono regolarmente e ripetutamente a profondità notevoli senza il beneficio di computer o di tabelle da immersione, ma anche, in genere, senza danni evidenti. Oltre ad essere quantitativamente limitato da un singolo respiro, il gas viene compresso e intrappolato all’interno di porzioni di polmoni grazie al collasso di alcune piccole vie aeree, con conseguente riduzione del volume di gas che passa nel sangue ed inaltri tessuti. Questi meccanismi non fermano completamente il passaggio, come indicato dai notevoli volumi di gas, non attribuibili alla decomposizione, presenti in animali recentemente spiaggiati. Inoltre, gli esami necroscopici hanno rilevato lesioni compatibili con danni tissutali cronici riferibili a ripetuti stress decompressivi. In sintesi, queste scoperte ci inducono a cambiare le nostre idee su mammiferi marini e decompressione.

Nei mammiferi marini ci sono diversi meccanismi che verosimilmente riducono lo stress decompressivo, anche se meno di quanto si creda. L’inspirazione singola di fatto limita il gas alla fonte, soprattutto per le specie che si immergono dopo un’espirazione parziale. Il collasso delle vie aeree riduce l’assorbimento di gas inerte dal sangue, almeno nelle immersioni più profonde. La riduzione del flusso sanguigno ai tessuti non essenziali (parte del riflesso d’immersione) riduce anche il passaggio di gas inerte ai tessuti. È importante sottolineare che, sebbene questi fattori riducano il rischio, non lo eliminano del tutto, in particolare nelle immersioni più estreme. In definitiva, è probabile che il profilo di immersione, il volume polmonare e l’intervallo di superficie bilancino le necessità di termoregolazione, di digestione, di controllo dell’assetto, la fame, le interazioni predatore/preda e lo sforzo esercitato per determinare l’effettivo stress decompressivo per una data immersione o giornata. Il controllo volontario e/o riflesso sul comportamento e le risposte fisiologiche alle immersioni possono alterare il rapporto rischio-ricompensa. L’estensione degli intervalli di superficie o l’aggiunta di immersioni a profondità moderate per ridurre o eliminare la formazione di bolle possono essere strategie – consce o inconsce – per ridurre lo stress decompressivo.

Sono necessarie ulteriori ricerche per ampliare la nostra comprensione dei limiti pratici dei sistemi protettivi di cui godono i mammiferi marini, degli schemi normali e delle conseguenze della formazione di bolle, e di come i mammiferi marini e gli esseri umani differiscano nelle risposte alle bolle e alle lesioni tissutali. 

È probabile che lo sviluppo di nuove tecnologie per la raccolta di dati in tempo reale da mammiferi marini liberi consentirà di rispondere alle tante domande ancora aperte.

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