Foto: Mariona Yepes Daviu
Linea Medica

Frequenza cardiaca e stress fisiologico da decompressione

Nota dell’editore: Presentiamo qui l’analisi di un contributor scientifico su uno studio che vede coinvolti ricercatori DAN e che esplora l’intricato legame tra la variabilità della frequenza cardiaca (HRV) e lo stress da decompressione.


Nulla al mondo rende i subacquei più felici del riuscire a ridurre di cinque minuti il tempo di decompressione, soprattutto se ad attenderli in superficie c’è uno spuntino particolarmente gustoso, o dei dati di ricerca particolarmente interessanti.

Grazie al recente lavoro di un gruppo di ricercatori brasiliani ed italiani, e ad una rapida espansione della comprensione della malattia da decompressione, a breve potremmo assistere ad un drastico cambiamento nel modo in cui si pianificano le immersioni con decompressione. Un recente progetto, finalizzato allo sviluppo di uno strumento per meglio quantificare lo stress da decompressione nei subacquei, è infatti riuscito a correlare – e successivamente ad unire – la metrica storicamente utilizzata nella medicina cardiovascolare con i noti i marcatori dello stress da decompressione. Questo tipo di approccio considera la malattia da decompressione come una patologia causata non esclusivamente da una manciata di bolle ‘ribelli’, ma come una malattia dalle molte facce; una malattia scatenata sì dai fattori che già conosciamo, ma guidata  in seguito dalle risposte fisiologiche a tali fattori.

Ciò non significa che la malattia da decompressione non riguardi più le bolle, ma che è possibile che non si tratti solamente di bolle. Nel corso dell’ultimo decennio, una serie di nuove ricerche ha illustrato un nuovo modello per la malattia da decompressione che si basa sia su un numero in costante aumento di risposte fisiologiche sia su meccanismi biochimici sempre più complessi. Questo cambiamento nella comprensione della malattia da decompressione è dovuto principalmente alla ricerca sulla disfunzione endoteliale, una malattia complessa e in continua evoluzione. I processi di segnalazione e di risposta delle cellule endoteliali sono stati collegati a numerosi processi patologici e, negli studi, la presenza di questi processi infiammatori è aumentata in modo esponenziale. La ricerca moderna ha dimostrato infatti che anche le malattie che si credeva aver compreso interamente, potrebbero essere causate non esclusivamente da un singolo fattore, ma scatenate da una combinazione di fattori e dalla risposta del proprio corpo a tali fattori – in alcuni casi la malattia stessa potrebbe addirittura essere stata interamente causata dalla risposta del proprio corpo a quel tipo di fattore scatenante.

Sfortunatamente, questo significa che la malattia da decompressione potrebbe essere causata da altri fattori oltre che dalle bolle presenti nel flusso sanguigno. In realtà, è stato dimostrato che gli emboli gassosi venosi (vere e proprie bolle nel sangue) sono un indicatore poco affidabile di MDD (malattia da decompressione) ed estremamente variabili tra i subacquei. La disfunzione endoteliale è stata collegata all’esposizione iperbarica, e ciò ha portato i ricercatori a studiare a fondo i processi infiammatori e a cercare di trovare il nesso tra le immersioni effettuate ed un eventuale malattia da decompressione.

Il ruolo della variabilità della frequenza cardiaca (HRV)

E qui entra in gioco la variabilità della frequenza cardiaca (HRV) che, oltre ad essere connessa ad una serie di patologie (dal diabete alle malattie cardiovascolari) e ad essere nota per la sua capacità di cambiare durante le immersioni, potrebbe essere potenzialmente utilizzata per misurare specifiche risposte infiammatorie. Uno studio ha infatti recentemente dimostrato che la presenza di microparticelle nel sangue è indicativa di un’infiammazione in corso e che quando è presente un’infiammazione, l’HRV tende a cambiare durante le immersioni. Inoltre, il numero di microparticelle aumenta con l’esposizione a gas iperbarici inerti, rendendo l’HRV un possibile strumento pratico per la misurazione delle risposte infiammatorie dei subacquei e per una possibile stima di rischio di MDD. Un progetto ambizioso, ma riuscire a verificare la validità tra la variabilità della frequenza cardiaca e lo stress fisiologico causato dalla decompressione, comporterebbe un grandissimo passo avanti non solo nella comprensione dei motivi per cui i subacquei sviluppano la MDD, ma anche nella comprensione delle risposte fisiologiche allo stress da decompressione. Nonostante la ricerca non sia ancora arrivata a questo punto, si stanno comunque facendo passi da gigante e sicuramente questo è il tipo di ricerca che fa sognare i ‘nerd’ delle bolle.

Il punto cruciale di questo studio piuttosto complesso è l’idea che l’HRV possa essere correlato con i marcatori infiammatori associati alla malattia da decompressione e che possa essere utilizzato direttamente come strumento di misurazione del rischio di malattia da decompressione. 28 volontari sono stati esposti a due diversi profili d’immersione, in una delle tre strutture. Il tempo complessivo di decompressione e la sovrasaturazione totale di gas erano gli stessi in tutti i profili d’immersione, mentre variava la profondità delle soste di decompressione. Gli intervalli di superficie e di raccolta dati erano gli stessi.

I ricercatori hanno consolidato i dati dei due profili così da analizzarli come un unico set di dati. A seconda della struttura, i partecipanti hanno utilizzato o rebreather a circuito chiuso, o gas respirabile fornito da camera iperbarica, oppure attrezzatura subacquea a circuito aperto. L’elettrocardiogramma e i campioni di sangue sono stati raccolti prima e dopo l’immersione, con un intervallo di almeno 30 minuti. È stato inoltre richiesto un intervallo minimo di 48 ore tra le immersioni per evitare la falsatura dei dati possibilmente causati dagli effetti persistenti dovuti all’esposizione precedente.

Immagine: Flow chart della procedura – – Association Between Heart Rate Variability and Decompression – Induced Physiological Stress

I risultati accumulati sono stati analizzati nel modo meglio descritto dagli autori stessi, per poi essere utilizzati per creare un modello teorico basato sull’estrazione dei risultati raccolti sul gruppo campione relativamente piccolo ed essere successivamente modellati su un set di dati di circa 1000 immersioni. I dati post-analisi forniscono numerose ed interessanti possibilità. La più interessante è senza dubbio la relazione tra l’HRV e i marcatori infiammatori, la quale ha dimostrato un cambiamento statisticamente significativo sia nelle relazioni tra HF (alta frequenza) e SDNN (deviazione standard degli intervalli ‘normal to normal’), sia nella correlazione negativa tra annessina e MP (microparticelle), e l’associazione positiva tra LF (bassa frequenza) e CD66b + and CD 31 + MPs.

Post-modeling relationships between HRV indicators, MPO and MP – Association Between Heart Rate Variability and Decompression – Induced Physiological Stress

Nota: LF e HF sono filtri a bassa e alta frequenza utilizzati durante gli studi ECG – entrambi rappresentano diversi aspetti dell’analisi elettrocardiografica dell’HRV. Le differenze non sono fondamentali per la comprensione generale di questo studio, ma ulteriori informazioni sono disponibili per chi fosse interessato. 

Conclusione

Siamo perfettamente coscienti del fatto che questo articolo non sia proprio una lettura leggera ed informale, ma crediamo che sia comunque interessante sapere che esiste un grandissimo numero di variabili che influenza sia i processi infiammatori, sia la malattia da decompressione. Quando persino i dati giornalieri del HRV nello stesso soggetto possono variare, si capisce che per includere il maggior numero possibile di queste varianti, sia necessaria un’enorme quantità di ricerca di base e di pianificazione sperimentale. Suggeriamo di comprenderne i modelli a sufficienza per convalidare la ricerca e di concentrarsi sui risultati – che in questo caso sembrano indicare principalmente una correlazione tra HRV post-decompressione e gli indicatori (scelti dai ricercatori) di infiammazione fisiologica e di stress. Ciò non significa che si debba subito correre ad acquistare un cardiofrequenzimetro o che si debbano ridurre i tempi di decompressione, ma è comunque interessante sapere quanto siano promettenti i risultati di questo studio e quanto possano essere importanti in futuro. Vale comunque la pena notare che la ricerca su modelli animali ha contraddetto i dati di questo studio e che i risultati possono variare tra soggetti che soffrono di malattia da decompressione.

Un’ulteriore conferma della relazione tra HRV e stress da decompressione renderebbe possibile la convalida quantitativa dei modelli di decompressione da parte dei subacquei in tempo reale, oltre a rendere possibile una reale comprensione delle incognite tra la sovrasaturazione dei tessuti e la malattia da decompressione. Se questo modello venisse convalidato, potremmo essere di fronte a dei fondamentali cambiamenti nella pianificazione delle tappe di decompressione e nella comprensione e trattamento della malattia da decompressione. Grazie alla tecnologia moderna siamo ora in grado di identificare delle possibili aritmie cardiache tramite un normale orologio da polso, e quindi non è impossibile immaginare un futuro in cui questo modello di HRV sia incorporato nei computer subacquei.


Citazioni:

  1. Brubakk, A. O., Duplancic, D., Valic, Z., Palada, I., Obad, A., Bakovic, D., et al. (2005). A single air dive reduces arterial endothelial function in man. J. Physiol. 566, 901–906. doi: 10.1113/jphysiol.089862
  2. Papadopoulou, V., Germonpré, P., Cosgrove, D., Eckersley, R. J., Dayton, P. A., Obeid, G., et al. (2018). Variability in circulating gas emboli after a same scuba diving exposure. Eur. J. Appl. Physiol. 118, 1255–1264. doi: 10.1007/s00421-018-3854-7
  3. Doolette, D. J. (2016). Venous gas emboli detected by two-dimensional echocardiography are an imperfect surrogate endpoint for decompression sickness. Diving Hyperb. Med. 46, 4–10.
  4. Cognasse, F., Hamzeh-Cognasse, H., Laradi, S., Chou, M.-L., Seghatchian, J., Burnouf, T., et al. (2015). The role of microparticles in inflammation and transfusion: a concise review. Transfus. Apher. Sci. 53, 159–167. doi: 10.1016/j.transci.2015.10.013
  5. Noh, Y., Posada-Quintero, H. F., Bai, Y., White, J., Florian, J. P., Brink, P. R., et al. (2018). Effect of shallow and deep SCUBA dives on heart rate variability. Front. Physiol. 9:110. doi: 10.3389/fphys.00110
  6. Appel, M. L., Berger, R. D., Saul, J. P., Smith, J. M., and Cohen, R. J. (1989). Beat to beat variability in cardiovascular variables: noise or music? J. Am. Coll. Cardiol. 14, 1139–1148. doi: 10.1016/0735-1097(89)90408-7
  7. von Känel, R., Nelesen, R. A., Mills, P. J., Ziegler, M. G., and Dimsdale, J. E. (2008). Relationship between heart rate variability, interleukin-6, and soluble tissue factor in healthy subjects. Bone 23, 1–7. doi: 10.1038/jid.2014.371
  8. Schirato SR, El-Dash I, El-Dash V, Bizzarro B, Marroni A, Pieri M, Cialoni D and Chaui-Berlinck JG (2020) Association Between Heart Rate Variability and Decompression-Induced Physiological Stress. Front. Physiol. 11:743. doi: 10.3389/fphys.2020.00743

 


Sull’autore

Reilly Fogarty è un istruttore di rebreather con sede nel New England e capitano con licenza USCG (Guardia Costiera degli Stati Uniti). Il suo background professionale include medicina chirurgica d’urgenza in luoghi remoti, ricerca di medicina iperbarica sulla mitigazione del rischio di immersione su larga scala e progettazione e gestione di programmi di primo soccorso. Ha inoltre lavorato su sperimentazioni umane in fisiologia dell’esposizione estrema per il Duke Center for Hyperbaric Medicine and Environmental Physiology e come responsabile del Team di Mitigazione del Rischio per Divers Alert Network.


Traduttrice: Laura Coppa

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