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Decompressione: miti o verità? (Parte 2)

Dopo la prima serie di domande e risposte, continuano i quesiti sui "falsi miti" della decompressione.

Molti subacquei pensano che la teoria della decompressione sia una scienza esatta. In realtà, essa non è che una simulazione matematica di complessi fenomeni biologici, difficili da rappresentare fedelmente. Per permettere ai subacquei di restare al passo con le evoluzioni proposte dai ricercatori, proponiamo questa seconda serie di test.

L’immersione con miscele ad alto tenore di ossigeno produce danni al DNA.

FALSO! Come esposto da J. Witte, sebbene in polimorfonucleati isolati (in “cultura”) il danno al DNA è correlato con la pressione parziale dell’ossigeno, in immersioni reali (in “vivo”) i subacquei che si immergono respirando frequentemente miscele ricche di ossigeno riportano minori danni al DNA rispetto a chi si immerge respirando aria. L’effetto protettivo si annulla quando l’intervallo tra immersioni successive supera le tre settimane.

È sconsigliato praticare attività fisica mediamente impegnativa (palestra, corsa, ecc.) prima di una immersione ad alto stress decompressivo (tappe di decompressione obbligate, multilivello ai limiti della curva di sicurezza, ecc.).

FALSO! L’iperossia sempre presente in immersione aumenta la produzione di radicali liberi, che sono la causa di diverse patologie. Il loro principale danno si manifesta generalmente a livello dell’endotelio dei capillari. La loro nocività è contrastata da numerosi “scavanger”, serie di enzimi atti all’arresto della cascata di reazioni dei radicali liberi. A. Brubakk ha riportato che una sessione di esercizio fisico mediamente impegnativo svolta 24 ore prima di una immersione ad alto stress decompressivo aiuta a combattere i radicali liberi e riduce significativamente il grado doppler delle bolle rilevate dopo l’immersione. Tuttavia evidenze sperimentali indicano che una sessione di esercizio fisico mediamente impegnativo svolta subito prima di un’immersione rende maggiore la formazione di microbolle all’uscita dall’acqua. È bene quindi attenersi all’intervallo di 24 ore utilizzato negli studi di Brubakk.

È sconsigliato praticare esercizio fisico dopo una immersione.

VERO! D. Madden ha esaminato 23 subacquei che si erano immersi a 18 metri per 47 minuti; immediatamente dopo la emersione è stata effettuata una ecocardiografia transtoracica a riposo e sotto sforzo (cicloergometria) mentre veniva osservato l’eventuale problematico passaggio di bolle dal circolo venoso a quello arterioso. Sono stati rilevati 3 shunt destra/sinistra – con passaggio di bolle nelle arterie – già a riposo e 12 shunt destra/sinistra durante lo sforzo, mentre in 8 subacquei non vi era shunt. Quando necessario, la somministrazione di ossigeno ha immediatamente bloccato lo shunt, rispetto alla sola respirazione di aria. In pratica lo sforzo facilita lo shunt destra/sinistra senza aumentare il numero di bolle (lo sforzo non aumenta le bolle ma apre il passaggio). In conclusione anche uno sforzo lieve, come nuotare dal punto di emersione alla barca indossando l’attrezzatura, può attivare uno shunt destra/sinistra altrimenti latente.

È possibile ridurre la formazione di bolle dopo l’immersione con sistemi preventivi da attuare prima della stessa.

VERO! La formazione delle bolle in immersione dipende da quattro fattori: accumuli di gas sull’endotelio (“gas pocket”), precondizionamento, condizioni del subacqueo, variabili dell’immersione (ambientali). J.P. Imbert enfatizza l’importanza del precondizionamento, fattore facilmente gestibile. Il precondizionamento con respirazione di ossigeno riduce la formazione delle bolle. Hanno effetto protettivo anche: la sauna, che determina vasodilatazione neuromediata; la vibrazione, che determina vasodilatazione attraverso il monossido di azoto; l’esercizio fisico, che determina vasodilatazione per entrambi i meccanismi. (Per un approfondimento sul tema leggi l'articolo "Precondizionamento e PDD", pubblicato su Alert Diver #51).

Se si rispettano le indicazioni del computer d’immersione o delle tabelle è impossibile subire una PDD.

FALSO! Come riportato da M. Pieri del DAN DSL, il DAN ha elaborato 58.256 profili di immersioni (75% maschi, 25% donne, con età media 35,6 anni). Le immersioni esaminate sono state svolte a profondità fra 5 e 192 metri. La miscela respirata nel 91,3% dei casi era aria, nel 5,14% nitrox e nel 3,56% trimix. L’analisi del Gradient Factor (GF), inteso come percentuale del valore M (massima saturazione tollerata dal compartimento più critico, quello che controlla l’immersione), evidenzia che gli incidenti sono avvenuti nell’ambito di immersioni con profilo decompressivo conservativo (80% GF). Nel 2013 l’analisi è arrivata a considerare 260 incidenti decompressivi, ottenendo un GF medio a rischio 0,79 (cioè gli incidenti avvengono, pur rispettando le indicazioni del computer, quando si raggiunge il 79% del valore M). Non è stata rilevata differenza tra algoritmi decompressivi tradizionali e algoritmi a controllo delle bolle. L’età media dei subacquei incidentati è 42 anni. La profondità media delle immersioni con incidenti era tra 40-45 metri. Era presente una differenza dell’incidenza di patologie decompressive tra i sessi: maschi 0,03%; donne 0,08%. L’analisi evidenzia che gli incidenti sono prevalentemente immeritati e non dovuti a errore umano.

L’incidente decompressivo è insomma ancora una eventualità che tutti i subacquei devono considerare.

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