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Decompressione personalizzata: quanto è vicina?
Il futuro della sicurezza subacquea dipenderà dal decifrare il codice della fisiologia umana.
Tecnologie limitate, mancanza di dati riproducibili, necessità di un algoritmo ripetibile e modificabile… Ecco gli ostacoli che ci separano da un modello decompressivo personalizzato per la nostra prossima immersione. Se ti sembra difficile, lo è!
La cruda realtà è che le menti più brillanti nel campo della medicina subacquea hanno dedicato la loro carriera a progressi nel campo della ricerca scientifica – a volte enormi e spesso affascinanti – che non sono applicabili al mondo reale, né possono essere correlati ad alcun parametro fisiologico o biologico ancora identificato. Sappiamo che la Malattia da Decompressione (MDD) è causata dalla formazione di bolle circolanti derivanti da gas disciolto in sovrasaturazione, ma dati recenti suggeriscono che la quantità di queste bolle da sola non è sufficiente per prevedere se una persona manifesterà i sintomi della MDD1.
Conoscere la causa più probabile della MDD è una base troppo debole su cui costruire un algoritmo di decompressione, ma il problema è complicato su tutti i fronti. I ricercatori hanno studiato decine di parametri biometrici nella speranza di correlarli ai sintomi della MDD, ma nessuno è riuscito a farlo in modo affidabile. O almeno, non ancora. Misurare questi parametri in laboratorio è difficile, ma lo è ancora di più durante un’immersione, e gli attuali algoritmi di decompressione non sono stati progettati per tenere conto di queste metriche.
Superare gli algoritmi probabilistici attualmente in uso richiederà progressi significativi nei modelli decompressivi, negli strumenti di monitoraggio fisiologico, nonché nella nostra comprensione della fisiologia della decompressione.
Il passaggio a un algoritmo personalizzato richiederà progressi significativi nei modelli decompressivi, negli strumenti di monitoraggio fisiologico e nella nostra comprensione della MDD. Si tratta di un obiettivo ambizioso sotto ogni punto di vista, ma esiste il potenziale affinché un singolo progresso rivoluzioni completamente la nostra comprensione dei modelli: è questo che rende la ricerca così entusiasmante.
Approfondiamo insieme le nostre conoscenze sulla personalizzazione dei modelli deco, ciò che dobbiamo ancora scoprire e le ricerche da tenere d’occhio.
Perché la decompressione personalizzata non è stata ancora scoperta – per ora.
I problemi relativi nel creare modelli decompressivi iniziano dal livello più elementare, ovvero la nostra comprensione della MDD. Noi pensiamo che le bolle causino i sintomi della MDD, ma non esistono dati concreti che dimostrino una correlazione diretta tra carico e dimensione delle bolle e MDD. A complicare ulteriormente le cose alcune ricerche indicano che potrebbero non essere le bolle stesse a causare lesioni, ma la risposta del corpo a tali bolle2. Senza una comprensione del meccanismo alla base della MDD, anche i nostri migliori algoritmi decompressivi diventano stime approssimative del rischio basate su studi vecchi di decenni. In pratica, la maggior parte di noi continua a immergersi seguendo un algoritmo basato su dati derivati da esperimenti condotti su capre più di un secolo fa: se le capre sono sopravvissute all’immersione, allora probabilmente sopravvivrai anche tu.
Gli attuali algoritmi sono rudimentali nella migliore delle ipotesi, ma “assolutamente incapaci di valutare una serie di fattori complessi e tempi che possono influenzare l’assorbimento, l’eliminazione e il rischio effettivo dei gas”, afferma l’esperto di fisiologia della decompressione Neal Pollock, Ph.D, aggiungendo che gli algoritmi decompressivi sono utili per una “prima approssimazione del rischio, per avere un’idea di massima”. Oltre questo punto, Pollock raccomanda ai subacquei di usare gli algoritmi come base su cui apportare modifiche conservative basate sull’esperienza e sulla ricerca, anche se inevitabilmente ci saranno molte supposizioni e congetture.
Un altro ostacolo per i ricercatori è trovare un parametro per misurare il rischio di MDD e poi trovare le tecnologie adatte a valutarlo in tempo reale. Personalizzare la decompressione richiede la misurazione di qualcosa relativo al subacqueo: temperatura, marker epigenetici, marker fisiologici o biologici… Affascinanti da studiare ma difficili da quantificare, questi parametri rappresentano l’area più interessante di questo enigma.
Personalizzare il proprio algoritmo decompressivo e ridurre il rischio di MDD in modo significativo potrebbe non essere possibile prima della tua prossima immersione, ma è possibile che uno degli studi in corso porti a un’evoluzione del modo in cui gestiamo il rischio, in un futuro relativamente prossimo.
Fattori con un futuro
Gli algoritmi e i nuovi strumenti di monitoraggio sono divertenti da costruire, ma la parte davvero entusiasmante è la ricerca di nuovi marker della MDD che potrebbero correlarsi al rischio di MDD o addirittura portare a una reale comprensione del meccanismo della MDD. Ce ne sono troppi per poterli contare ed è impossibile sapere quali forniranno alla fine informazioni sul perché formiamo le bolle in questo modo, ma il potenziale per una svolta sembra allettante in alcuni settori. Ecco due aree da tenere d’occhio nei prossimi anni.
Microparticelle e risposta infiammatoria
Sempre più ricerche suggeriscono che alcuni dei danni causati dalla MDD non sono dovuti al danno meccanico causato dalla formazione di VGE (Venous Gas Emboli) durante la decompressione, ma alle microparticelle causate dalla formazione di bolle e alle risposte infiammatorie sia alle bolle che alle microparticelle13,14. I meccanismi proposti per la risposta infiammatoria e delle microparticelle alla decompressione e il loro contributo al rischio di MDD sono piuttosto complessi e potrebbero essere oggetto di un articolo a sé stante, ma un’eccellente sintesi è disponibile in Decompression Illness: A Comprehensive Overview, una sintesi del 2024 redatta dall’esperto in materia Dr Simon Mitchell.
Le microparticelle e le citochine infiammatorie su cui si concentrano queste teorie possono essere misurate, ma solo in laboratorio e non in tempo reale. È necessario approfondire gli studi in questo campo per determinare la relazione tra stress ossidativo, decompressione e microparticelle circolanti prima di poter compiere progressi significativi. Tuttavia l’interazione tra questi tre fattori e i dati attualmente disponibili rendono questo argomento particolarmente interessante per i prossimi anni.
Studi sulle bolle
Decenni di ricerche suggestive (ma non conclusive) hanno collegato in modo indelebile le bolle e la MDD, ma un recente studio del NEDU e dell’Università di Auckland potrebbe aver messo la parola fine al collegamento tra i carichi di VGE e i sintomi della MDD. I ricercatori hanno sottoposto 151 subacquei a 693 immersioni, effettuando studi sulle bolle dopo ciascuna di esse. Il risultato è stato un insieme di dati unico per questo settore di ricerca, che suggerisce fortemente che la variabilità della quantità di bolle nei subacquei era talmente grande che non solo il conteggio delle bolle non può essere utilizzato per valutare le pratiche di decompressione tra i subacquei, ma che singoli subacquei in immersioni identiche producono bolle a una velocità talmente diversa che il grado di VGE potrebbe non avere alcuna correlazione significativa con la MDD.
Questo getta un po’ di scompiglio nello status quo della ricerca subacquea, ma non è la fine degli studi sulle bolle. I ricercatori del DAN hanno recentemente completato la raccolta dati di un progetto quadriennale volto a quantificare la variabilità del carico di VGE e ad analizzare parametri quali la variabilità della frequenza cardiaca (HRV), la gittata cardiaca, la pressione sanguigna, campioni di saliva per la ricerca di marker infiammatori e campioni di sangue per la ricerca di microparticelle. L’elaborazione dei dati è appena iniziata, ma l’analisi a breve termine si concentrerà sulla correlazione tra i fattori di rischio di MDD e il numero di bolle, e il gruppo di soggetti oggetto della ricerca è stato mantenuto per facilitare gli studi di follow-up.
Uno sguardo al futuro
Nonostante gran parte di questa ricerca si basi su meccanismi ancora non dimostrati della MDD e su tecnologie e biomarcatori non ancora sviluppati, ci sono molti motivi per essere ottimisti. È necessario temperare questo ottimismo con la consapevolezza che potrebbero volerci anni prima che esista una tecnologia in grado di misurare in modo significativo alcuni di questi marker teorici, ma è difficile non entusiasmarsi per le possibilità aperte in questo campo.
La decompressione personalizzata potrebbe non essere ancora una realtà, ma gli ostacoli da superare sono identificabili e alcuni brillanti ricercatori e subacquei stanno dedicando la loro vita a renderla possibile. Ti interessa contribuire a questa causa? Puoi informarti sui progetti di ricerca in corso e offrirti come volontario su https://www.daneurope.org/it/ricerca-medico-subacquea.
Una versione estesa di questo articolo è stata pubblicata sulla rivista InDEPTH.
Opere citate
- Doolette, D; Murphy, G (2023) Within-diver variability in venous gas emboli (VGE) following repeated dives.
- Mitchell, Simon J (2024) Decompression Illness: A comprehensive review. PMID: 38537300
Approfondimenti
- Cialoni, D; Pieri, M; Balestra, C; Marroni, A (2017) Dive Risk Factors, Gas Bubble Formation, and Decompression Illness in Recreational SCUBA Diving: Analysis of DAN Europe DSL Data Base
Sull’autore
Reilly Fogarty è un istruttore di rebreather con sede nel New England e capitano con licenza USCG (Guardia Costiera degli Stati Uniti). Il suo background professionale include medicina chirurgica d’urgenza in luoghi remoti, ricerca di medicina iperbarica sulla mitigazione del rischio di immersione su larga scala e progettazione e gestione di programmi di primo soccorso. Ha inoltre lavorato su sperimentazioni umane in fisiologia dell’esposizione estrema per il Duke Center for Hyperbaric Medicine and Environmental Physiology e come responsabile del Team di Mitigazione del Rischio per Divers Alert Network.
Traduttore: Cristian Pellegrini