Lo spazio, una scalata verso il successo

Da dove è meglio selezionare i prossimi astronauti della NASA e quelli del settore privato? Bisogna trovare individui assetati di avventura, con una meticolosa attenzione per i dettagli ed un selvaggio entusiasmo per l’esplorazione.

La migliore scelta di nuovi astronauti si trova proprio nelle profondità marine. Gli astronauti e gli acquanauti (NAUTS) sono molto simili tra loro, ed esiste già una relazione tra i due gruppi. Durante un periodo di pausa dalla NASA l’astronauta della marina americana Scott Carpenter lavorò, nel 1965, come team leader del progetto “Man in the Sea”, per il quale dirigeva un team di subacquei. I requisiti richiesti agli esploratori spaziali e a quelli marini per riuscire nelle loro imprese sono simili sotto molti aspetti.

Dalle stelle del cielo alle stelle marine

Trasferire le competenze desiderate utilizzando gli acquanauti nel ruolo di astronauti porterebbe rappresentare un enorme vantaggio per l’esplorazione spaziale, poiché in questo modo si ridurrebbe il tempo di training necessario. Inoltre, alcune delle precauzioni e dei sistemi di sicurezza utilizzati nei rebreather e nelle spedizioni ed esplorazioni subacquee possono rivelarsi utili anche nelle esplorazioni spaziali.

Queste due sub-culture presentano anche delle differenze. Gli astronauti moderni viaggiano nello spazio dentro una navicella molto grande (duemila tonnellate) e orbitano intorno alla Terra ad una velocità di 8 km al secondo, ad un’altitudine compresa tra i 180 ed i 650 chilometri. Gli acquanauti discendono all’interno di una campana subacquea pressurizzata, all’interno di una campana o sottomarino o semplicemente nuotando liberi a profondità comprese tra i 10 e i 600 metri (in msw) ad una velocità compresa tra i 30 e i 40 metri al minuto e rimangono in un ambiente di alta pressione fino a decompressione.

Ma perfino le differenze sono simili tra loro. Secondo la Legge di Dalton, quando un sub effettua una discesa in immersione, la pressione parziale dei gas che respira (ossigeno, elio, azoto) aumenta. Questa legge regola anche il delicato equilibrio dei gas che si respirano all’interno di un habitat di saturazione (camera iperbarica pressurizzata). Mentre la Stazione Spaziale Internazionale (ISS) e gli shuttle moderni (in orbita) mantengono al proprio interno ossigeno ad una pressione a livello del mare per la maggior parte del tempo, la pressione nelle camere dei razzi impulsori è governata dalla Legge di Dalton. La grandezza della camera nella quale brucia il carburante dipende dai requisiti che la combustione deve equilibrare. La Legge di Dalton regola la relazione tra la pressione ed altre variabili. Astronauti e acquanauti sono regolati dalle stesse leggi, ma ne vengono influenzati in modi diversi.

Sia gli astronauti che gli acquanauti sono solitamente piccoli gruppi di individui, molto legati tra loro, con solido training alle spalle e che lavorano in team. Entrambi i gruppi creano, esercitano e memorizzano le procedure di emergenza e durante le loro missioni hanno bisogno di grande supporto sia da parte del personale che da parte dell’apparecchiatura. Ogni missione comprende un’ampia parte di training logistico, e sia i voli spaziali che le immersioni in camera iperbarica richiedono lunga pianificazione ed esercizio.

I NAUTI di entrambi i tipi si trovano a vivere confinati per periodi compresi tra i cinque giorni ed i sei mesi. Entrambi i gruppi non hanno percezione del giorno e della notte, e la luce del sole difficilmente penetra all’interno di un camera iperbarica. Perfino la poca luce che penetra nella profondità delle acque perde i propri toni di rosso, arancio e giallo, e in assenza di luce esterna tutto appare verde e blu. Per contrasto, gli astronauti vedono 32 albe e tramonti al giorno, poiché orbitano intorno alla Terra ad una velocità superiore alle 4 miglia al secondo.

La chiave sta nella flessibilità
I NAUTI somigliano un po’ ai famosi pesci rossi, che tramite un oblò osservano le grandezze del mondo. Quando ci si trova in spazi così ristretti, tuttavia, è fondamentale definire chiaramente i ruoli di leadership e le varie responsabilità. Resta il fatto che ognuno dovrà, all’occorrenza, fungere da ingegnere, ittiologo, geologo, rigger, oltre ovviamente a pulire, lavare e cucinare. Gli individui in grado di eseguire tutte queste mansioni risultano i più preziosi durante la missione.

Dato l’ambiente di viaggio particolare quando si tratta di spazio o profondità marine, per ogni NAUTA è necessario tracciare un profilo psicologico: persone compatibili tra di loro saranno poste assieme, al fine di portare al massimo la comunicazione tra i membri dell’equipaggio. Lo stress fisico dovuto ad un ambiente alterato, l’alternanza di luce che crea una potenziale privazione di sonno, la tabella di marcia intensa e gli spazi ristretti rendono assolutamente necessario il dover andare d’accordo. A svariati chilometri sopra o sotto il livello del mare non è possibile risolvere un conflitto semplicemente andando fuori per una passeggiata: tutti i membri dell’equipaggio devono mettere da parte qualsiasi obiettivo personale, e pensare agli obiettivi del team.

L’acqua, grazie alla costante caduta libera nello spazio (assenza di peso simulata), rappresenta l’ambiente migliore e più vantaggioso economicamente per addestrare un astronauta. Quando si esercitano, gli astronauti vengono fatti galleggiare in aria all’interno delle loro tute spaziali, ed inseriti in laboratori a galleggiabilità neutra. Prima di provare qualsiasi manovra o compito nello spazio, effettuano una simulazione in acqua.

Oggi gli astronauti della NASA si esercitano nell’effettuare procedure mediche a livello remoto all’interno di camere iperbariche. La natura remota e compatta dell’habitat di saturazione imita alla perfezione le condizioni che si ritrovano nella Stazione Spaziale Internazionale o in orbita, dove un medico dispone di uno spazio operativo limitato. Gli astronauti, sia in atmosfera che nei fondali, dispongono di attrezzatura e di materiale medico in misura limitata, perciò il training riflette la situazione reale.

Mentre gli astronauti si trovano all’interno dell’habitat da saturazione, un medico simula di trovarsi sulla Terra, a migliaia di chilometri di distanza, e da qui spiega passo dopo passo le operazioni mediche specifiche da effettuarsi sull’astronauta. Questo tipo di training è utile sia per i subacquei che gli astronauti che operano in ambienti di saturazione, e dimostra ancora una volta che tra le due comunità esistono delle somiglianze.

Anche per missioni di durata considerevole, gli astronauti vengono fatti acclimatizzare all’interno di camere iperbariche. NEEMO, acronimo inglese per “Missioni NASA in Ambienti Estremi”, è un programma nel quale gli astronauti acquisiscono competenze e tecniche approfondite che potrebbero rivelarsi utili per i viaggiatori spaziali, quando saranno in grado di viaggiare verso la luna e oltre.

Questi astronauti si immergono in un habitat di saturazione al largo delle coste di Key Largo, e qui ritrovano in molti aspetti le condizioni potenzialmente ostili che troverebbero nello spazio o su altri pianeti. In sei di queste missioni subacquee, gli astronauti hanno anche testato della strumentazione che potrebbe essere portata nello spazio. Per la prima volta dopo tanto tempo, in queste immersioni NEEMO si effettuano anche ricerche di psicologia umana. Gli astronauti membri dell’equipaggio spesso sottolineano le somiglianze tra le operazioni effettuate sott’acqua e quelle effettuate nello spazio.

Le spedizioni NEEMO non rappresentano il primo tentativo da parte della NASA di imparare dal mondo marino. Nel 1969, due giorni prima il lancio dell’Apollo 11, la NASA lanciò la PX-15 Ben Franklin con all’interno un equipaggio di sei membri per un viaggio di 30 giorni alla studio della Corrente del Golfo e degli effetti duraturi dovuti dal vivere in un ambiente limitato. La NASA era interessata a studiare l’ambiente all’interno del sottomarino in analogia con l’ambiente interno ad una stazione spaziale.

I dati raccolti in questa missione dovevano essere incorporati nelle altre missioni di esplorazione della NASA, ma il ritardo rispetto ai tempi previsti e richieste di lavoro specifico causarono che questa missione non potesse essere completata prima dell’allunaggio dell’Apollo 11. Fu proprio a causa della tempistica che i risultati ottenuti dai NAUTI vennero messi in ombra dagli americani, tutti presi a guardare il cielo mentre un’altra squadra di esploratori cercava di atterrare sulla luna. Le informazioni raccolte dall’equipaggio della Ben Franklin vengono utilizzate tutt’ora come linee guida in molte spedizioni.

I NAUTI parlano delle proprie preoccupazioni sia con il personale di supporto che con il management. In entrambi i casi, il NAUTA dispone di autonomia limitata, e riconosce di aver bisogno di supporto proveniente sia dal basso che dall’alto, dove ha a disposizione un’ampia gamma di competenze. Ogni momento della giornata, dal lavoro al dormire, è coordinato da persone che non si trovano sul posto. Avere a che fare con un manager off-site ha alla base dinamiche delicate, e richiede un considerevole periodo di tempo per poterle padroneggiare. Gli acquanauti si sono già abituati al management off-site, e sono in grado di gestirlo bene.

Tuttavia, ogni NAUTA preferisce risolvere i propri problemi da sé. Mettere i NAUTI in grado di risolvere i problemi autonomamente o come team li dota di un’esperienza molto valida per quanto riguarda la manipolazione dell’ambiente e dell’apparecchiatura con la quale hanno a che fare, ed inoltre aiuta a creare un team più autonomo.

Spazi a confronto

L’atmosfera può essere controllata, e perciò all’interno della ISS, in orbita o dentro unhabitat di saturazione, non si ha bisogno di alcuna tuta speciale. Le pareti di metallo mantengono la pressione all’interno della ISS, in orbita (nel vuoto dello spazio) o all’esterno dell’habitat di saturazione (nell’acqua più densa dell’aria). Dal momento che le atmosfere all’interno di questi spazi interni sono autos, è necessario che esse vengano mantenute in modo adatto, così da supportare le funzioni vitali.

I mammiferi non sono in grado di mantenersi in vita respirando combinazioni gassose contenenti meno del 16 percento di ossigeno. L’atmosfera all’interno della ISS ed in orbita è mantenuta esattamente uguale a quella all’interno di in un habitat di saturazione. All’interno di sistemi chiusi l’accumulo di anidride carbonica (CO2, il prodotto di scarto del metabolismo dell’ossigeno) in un periodo di soli 10 minuti può aumentarne il livello di un volume superiore al 6 percento del massimo di tollerabilità umana.

Per risolvere questo problema all’interno di veicoli in orbita, un semplice sistema di ventole fa circolare le sostanze respiratorie e le spinge attraverso degli scrubber che eliminano l’anidride carbonica. Questi scrubber sintetizzano l’anidride carbonica e producono vapore, umidità e gesso. L’acqua rimossa viene mandata ad un sottosistema di gestione e recupero. Solitamente, gli scrubber sono dotati di uno strato di carbone per l’assorbimento e la riduzione degli odori.

Altri sistemi aggiungono ed omogeneizzano l’ossigeno per evitare vuoti d’aria; sistemi di controllo della temperatura e dell’umidità aiutano la circolazione dell’aria, la rimozione dell’umidità e a mantenere la ISS e l’orbita ad un livello di pressione e contenuto di ossigeno simili a quelli presenti a livello del mare.

Il controllo del calore in orbita e nella ISS è di cruciale importanza a causa dei significativi cambiamenti di temperatura nel vuoto dello spazio. Non c’è atmosfera, elemento necessario a mantenere stabile il calore ogni 90 minuti, ovvero quando in orbita si passa dal giorno alla notte e viceversa.

Dato il totale isolamento dello spazio, è estremamente importante riciclare l’acqua. Sebbene le camere SAT non abbiano questo livello di complessità e non necessitino di raccogliere acqua, d’altra parte esse implementano scrubbing di CO2,deumidificazione e rimozione di calore ed odori allo stesso modo. In un habitat di saturazione il riscaldamento ricopre un’importanza fondamentale poiché l’acqua che la circonda porta via il calore 25 volte più velocemente rispetto all’aria. Inoltre le pareti di metallo e l’elevato contenuto di elio rendono l’interno di una SAT molto freddo.

Di solito le camere SAT vengono mantenute ad una pressione costante (profondità di mantenimento) indipendentemente dalla profondità alla quale i sub devono operare. Per una SAT che si immerga ad una profondità massima di 120 msw (pressione 13 volte maggiore a quella a livello del mare) la profondità di mantenimento necessaria sarebbe all’incirca di 90 msw. L’atmosfera all’interno dell’habitat di saturazione sarebbe un mix di tre gas (elio, ossigeno e azoto). L’elio viene utilizzato per controbilanciare i potenziali effetti narcotici dell’azoto.

La pressione parziale dell’ossigeno (PpO2) deve essere limitata allo 0,5% (ovvero l’equivalente di respirare ossigeno al 50% in normali condizioni di superficie) per evitare che i sub subiscano i sintomi della tossicità polmonare da ossigeno. La tossicità polmonare da ossigeno consiste nella “bruciatura” degli alveoli polmonari a causa di una esposizione prolungata ad alte concentrazioni di ossigeno e si manifesta con un’irritazione sotto lo sterno, dolore quando si inspira e funzioni vitali ridotte. Spesso questi sintomi sono preceduti da una tosse non produttiva e da un formicolio dentro la gola.

I mezzi per la respirazione all’interno dell’habitat di saturazione generalmente non vengono modificati fino alla chiusura dell’immersione e alla decompressione dei sub. La pressione viene poi diminuita in fase di decompressione e i sub vengono riportati a pressioni normali da superficie.

Durante periodi all’interno di queste “case lontane da casa” anche l’igiene rappresenta un fattore significativo. I NAUTI producono residui. Per il comfort e l’igiene dei passeggeri, è importante saper conservare e rimuovere tali residui. Nello spazio, gli escrementi vengono risucchiati all’interno di un compartimento ed i liquidi vengono rimossi e gettati via, mentre i residui vengono sistemati in uno spazio vuoto, che facilita la tenuta degli odori.

Alcune camere SAT sono dotate di tubature con uno strato aggiuntivo che permette ai passeggeri di utilizzare i servizi quasi con la stessa facilità di un normale bagno. Tuttavia, le tubature devono essere rinforzate per poter sostenere l’alta pressione. Molte camere SAT utilizzano recipienti portatili ed i liquidi possono essere gettati via immediatamente. Gli scarti devono essere imbustati e coperti o riposti. Quest’ultima soluzione è sconsigliata poiché ci si trova in un ambiente chiuso.

La rimozione di umidità dai mezzi utilizzati per la respirazione risulta difficoltosa a causa della totale immersione dell’habitat di saturazione e data la natura dell’operazione stessa. Questo aumento di umidità, combinato con la pressione maggiore e con la presenza di fonti di luce non naturali, crea un ambiente piuttosto prolifico per i batteri. I sub all’interno di una SAT devono utilizzare una soluzione antifungale e antibatterica come prevenzione contro infezioni alle orecchie. Dal momento che la pesante imbracatura può irritare alcune parti della pelle, i NAUTI sono anche esposti ad un rischio maggiore di contrarre dermatiti. Sebbene gli astronauti non abbiano il problema della troppa umidità, essi devono comunque stare attenti ad evitare ferite ed infezioni aperte.

Solitamente i NAUTI sono fisicamente preparati per reagire alle forze g e agli stress da decompressione, e generalmente sono in grado di mantenere le loro capacità fisiche durante una missione. La mancanza di esercizio può indebolire i muscoli di un astronauta a tal punto che una volta tornato nell’ambiente terrestre, ricco di gravità, potrebbe risultare difficile stare in piedi o camminare. Inoltre anche il muscolo cardiaco può indebolirsi se non pratica esercizio. E ancora, le ossa sono biologicamente programmate per assorbire gli impatti: la mancanza di impatto le rende meno dense poiché perdono di calcio. Se non viene praticato esercizio regolare, le ossa potrebbero diventare più fragili e rompersi una volta tornati in un ambiente ricco di gravità.

Come conseguenza del moto, i NAUTI sudano. Per quanto riguarda gli acquanauti, questo esercizio aggiunge ancora maggiore umidità, ma solitamente non è un problema. Nel caso degli astronauti, non c’è la gravità che aiuta a rimuovere il sudore. Per facilitarsi nell’asciugatura della traspirazione, è utile muovere l’aria attraverso un dotto ed utilizzare degli asciugamani. Se il movimento dell’aria non asciuga l’astronauta, il sudore si attacca alla pelle e diventa più spesso.

L’acqua fresca è rara per entrambi i tipi di NAUTA. In orbita o all’interno di una ISS non è presente alcuna doccia. Gli astronauti utilizzano salviette o spugne dotate di un sapone rimovibile con un asciugamano. Nell’habitat da saturazione, i NAUTI si lavano principalmente in acqua salata, con un bagno finale in acqua fresca. Essi hanno bisogno di un sapone speciale che non si scioglie in acqua salata. Tutta l’acqua utilizzata, non fresca, viene poi espulsa.

Dal momento che non c’è alcuna forza che spinge l’acqua verso il basso, una doccia faciliterebbe la presenza di acqua che si muove liberamente in aria, e poiché in orbita e all’interno di una ISS sono presenti grandi quantitativi di materiale elettronico, questa acqua potrebbe danneggiare la strumentazione. Data l’impossibilità di rifornire con facilità i contenitori nello spazio, un sottosistema di gestione recupera e ricicla l’acqua dei lavandini, delle urine, delle cellule carburante e della condensa che si forma dal respiro degli astronauti. Un sistema di depurazione converte l’acqua usata in acqua potabile. La qualità dell’acqua viene invece monitorata da un altro sistema.

Il fuoco rappresenta uno dei pericoli maggiori per coloro che si trovano nello spazio o sott’acqua e per questo vengono adottate delle misure atte a ridurre il rischio di combustione. I quattro elementi necessari alla combustione sono: calore, combustibile, ossigeno e una reazione chimica. Se uno o più di uno di questi elementi è presente in maniera maggiore, il rischio di combustione aumenta significativamente.

La fase più pericolosa di un volo spaziale è probabilmente l’ingresso in atmosfera. La temperatura delle superfici può raggiungere i 938 ºC e la parte più esterna delle ali può arrivare a 1.371 ºC. Se sono presenti la giusta quantità di ossigeno e di carburante, questo aumento di temperatura può causare problemi.

Analogamente, anche i sub in una SAT corrono un alto rischio di combustione durante l’ultima fase di decompressione. Per minimizzare il periodo di decompressione, la pressione parziale PpO2 viene alzata a livelli pari allo 1,2%, l’equivalente di un ambiente ad ossigeno 120%. Tutti gli altri elementi necessari alla combustione vengono diminuiti o eliminati per abbassare il rischio di incendio.

Similitudini quando si lascia l’habitat

Quando un sub esce dalla base subacquea, si parla di escursione. I requisiti di decompressione per una escursione dipendono dalla quantità di gas inerte presente nei mezzi per la respirazione. L’unico modo di diminuire il contenuto di gas inerte è di aumentare la presenza di ossigeno nei mezzi per la respirazione. I sub in camere SAT utilizzano reclaimer e rebreather per ricircolare le sostanze presenti nei loro mezzi per la respirazione invece di espellerle in acqua.

Questi rebreather catturano il gas, separano la CO2 e aggiungono l’ossigeno, proprio come il sistema all’interno dell’habitat da saturazione, ma in scala minore. Mentre sono al lavoro, i sub hanno bisogno di una concentrazione di ossigeno maggiore. Gli astronauti, durante le loro escursioni extraveicolari, hanno bisogno di cambiamenti minimi alle loro tute. Per combattere l’elevato vuoto di ossigeno molecolare nello spazio in orbita terrestre bassa (LEO) indossano una tuta spaziale a pressione piena per attività extraveicolari (EVA). Questa tuta fornisce ossigeno per la respirazione e mantiene una certa pressione attorno al corpo allo scopo di mantenere i fluidi allo stato liquido. La tuta è simile ai rebreather high-tech utilizzati nelle immersioni subacquee.

Le tute spaziali hanno anche la funzione aggiuntiva di proteggere da piccoli meteoriti e di isolare dalle temperature estreme presenti nello spazio, grazie ad un sistema attivo di raffreddamento e riscaldamento. In assenza di un’atmosfera che filtri i raggi solari, il lato della tuta esposto al sole può raggiungere temperature di 115 ºC, mentre il lato esposto allo spazio può raggiungere i -155 ºC.

I requisiti di pressione di una tuta EVA sono diversi da quelli della pressione a livello del mare presenti all’interno di una ISS o in orbita. Se una tuta EVA fosse riempita con pressione normale a livello del mare, nello spazio non ci si potrebbe muovere. (Un sub che abbia mai provato a riempire in eccesso una tuta asciutta sa bene quanto possa essere difficile muoversi). La tuta risulterebbe troppo rigida, braccia e piedi non riuscirebbero a piegarsi e gli astronauti non sarebbero in grado di lavorare. Una pressione bassa all’interno della tuta (quasi un terzo della pressione normale a livello del mare) è vantaggiosa perché permette flessibilità e mobilità della tuta durante escursioni extraveicolari. Secondo la Legge di Dalton, la diminuzione di pressione porta ad una riduzione del livello totale di ossigeno nello spazio per la respirazione, e quindi è necessario un aumento nella PpO2 per mantenere condizioni favorevoli alla vita.
L’aumentato rischio di incendio risulta accettabile all’interno di una tuta EVA, poiché non è presente alcun componente elettronico. Tuttavia, all’interno di una ISS e in orbita sono presenti molte componenti elettroniche, e il rischio di incendio potrebbe essere maggiore del normale se aumentano i livelli di ossigeno.

Un sub che effettua immersioni in saturazione ha anche bisogno di protezione contro quegli elementi ai quali sarebbe esposto con una tuta stagna, semistagna o termica. Fondamentalmente, queste tute proteggono il sub dal freddo e dalla dispersione di calore causata dall’acqua circostante. In molte zone del mondo, i raggi del sole non penetrano alle profondità alle quali ci si immerge in saturazione e l’acqua raggiunge temperature anche di -2 ºC. Contrariamente allo spazio, gli acquanauti possono essere esposti all’acqua senza indossare una muta da esposizione, sebbene per periodi molto corti. Per i sub la preoccupazione principale restano i mezzi per la respirazione.

Il rischio di separazione dalla base è piuttosto significativo. Gli astronauti risolvono facilmente questo problema utilizzando due punti di connessione mentre “passeggiano” per lo spazio, e si tirano o si spingono con le mani.

Gli astronauti non possono muoversi sguazzando o nuotando nello spazio, poiché non c’è nulla contro cui spingere. Anche nelle camere SAT esiste il rischio di separazione. I sub moderni che si immergono in saturazione e che sono liberi nell’habitat devono fare molta attenzione a non perdere l’orientamento.

Una differenza significativa consiste nel fatto che gli acquanauti sono esposti alla mancanza di peso soltanto mentre si trovano all’interno dell’acqua, mentre gli astronauti lo sono fino al loro ritorno sulla terra. Un astronauta che si trova in una missione planetaria, tuttavia, può beneficiare di gravità parziale.

Similitudini fisiologiche

Prima di una qualsiasi escursione nello spazio, quando ancora si trovano all’interno di una ISS o in orbita, gli astronauti devono pre-respirare ossigeno a causa del differenziale di pressione tra la loro base e la tuta spaziale EVA. Se questa operazione non viene effettuata (o se non viene regolata la pressione di cabina prima di un’esplorazione) si potrebbe incappare in un trasferimento di azoto dissolto dai tessuti al sangue dell’astronauta.
A causa della rapida diminuzione di pressione, si potrebbero formare bolle di azoto nel sangue che dopo essere state attaccate dai fagociti (cellule che ingeriscono agenti estranei) sarebbero trattate come agenti esterni da parte dei leucociti (globuli bianchi).

L’ astronauta potrebbe così manifestare un disturbo da decompressione. I sintomi tendono a presentarsi prima o dopo un’esplorazione extraveicolare e nei casi più gravi possono rivelarsi fatali. La procedura di pre-respirazione è simile a quella che si effettua quando si utilizza un rebreather. L’inalazione avviene all’interno della base tramite una maschera isolata. Queste procedure vengono effettuate anche all’interno di tute spaziali EVA, per assicurare che soltanto l’astronauta, e non la navicella, sia esposto ad una percentuale maggiore di ossigeno. Durante questo processo l’azoto assorbito dai tessuti si riduce fino alla minimizzazione del rischio di patologie da decompressione nello spazio (DCS). Il cambiamento di pressione atmosferica ridurrebbe il tempo necessario alla pre-respirazione.

Sebbene non vi sia alcuna relazione sulle patologie da decompressione nello spazio (DCS), la NASA ha notato una loro incidenza piuttosto alta nelle prove a terra all’interno di camere di decompressione. Tuttavia, ci sono dei criteri di accettazione molto severi prima di poter effettuare un protocollo di pre-respirazione nello spazio. Prima del volo vengono incorporati anche molti accorgimenti per aumentare il margine di sicurezza. Il tasso metabolico all’interno della tuta durante la pre-respirazione di ossigeno è leggermente più alto di quello presente durante un test a riposo.
Il motivo di ciò sta nel fatto che l’astronauta si muove e lavora contro una tuta pressurizzata.  Una ricerca del Dr Michael Gernhardt alla NASA (astronauta NASA, Manager del Laboratorio di Fisiologia Ambientale e studioso principale del programma “Prebreathe Reduction”, Johnson Space Center) dimostra che perfino un tasso metabolico leggermente elevato può migliorare l’eliminazione di azoto e ridurre lo stress da decompressione. Di conseguenza, gli astronauti praticano esercizio durante la respirazione di ossigeno per migliorare l’eliminazione di azoto. Questa procedura funziona bene ma deve essere accompagnata da esercizi specifici. Una combinazione di esercizio ad alta intensità con esercizio a bassa intensità risulta essere la migliore per eliminare le bolle di azoto.

Preoccupazioni simili riguardo le DCS vengono fuori quando un sub effettua un’escursione. I sub che aumentano la propria profondità in maniera significativa poiché devono operare al di sotto della profondità di mantenimento potrebbero aver bisogno di rientrare alla propria base subacquea effettuando decompressione. Inoltre, tutti i sub devono effettuare decompressione dopo qualsiasi immersione, indipendentemente dalla profondità. Tale decompressione, di solito, avviene sotto forma di un tasso di risalita controllato.

Nel corso di una immersione in saturazione è necessario che il sub sia conscio dei segni di Sindrome Nervosa da Alta Pressione (HPNS). Questi sintomi consistono in vertigini, nausea, vomito, tremori intenzionali e posturali, affaticamento e sonnolenza, crampi allo stomaco, riduzione del rendimento intellettivo e psicomotorio, riduzione del sonno e incubi, e aumento nel cervello dell’attività ad onde lente con diminuzione dell’attività a onde veloci – come registrato da elettroencefalogramma. Sebbene non se ne conosca l’origine esatta, si crede che la Sindrome HPNS sia causata da pressioni esterne elevate, e peggiori a seconda della scelta dei mezzi per la respirazione e del tasso di discesa. Ad esempio, alcuni sub provano una forma lieve di HPNS, detta “tremori da elio”, in caso di discesa rapida mentre respirano una miscela di elio e ossigeno anche a profondità di 92 msw. Oltre determinate pressioni (profondità) l’efficienza di un sub è estremamente limitata.

Per contrasto, molti degli astronauti provano la cosiddetta SAS (Sindrome da adattamento nello spazio – una sindrome simile alla chinetosi) quando l’accelerazione supera le 4 miglia al secondo e comincia la caduta libera costante che si ha in orbita. I sintomi spaziano da una lieve nausea alla confusione, fino al vomito e ad un intenso senso di disagio. Il mal di testa e la nausea solitamente assumono intensità diverse, e secondo i resoconti questo disturbo dura da due a quattro giorni. Sebbene le pillole per la chinetosi siano in grado di ridurre l’intensità dei sintomi, esse possono tuttavia provocare sonnolenza.

Sebbene gli astronauti di solito non siano colpiti dai problemi che affliggono i sub che praticano immersioni in SAT, come ad esempio l’osteonecrosi (morte della parte ossea a causa di gas inerte dissolto nell’osso che esce rapidamente dalla soluzione e distrugge l’osso), essi possono soffrire di perdita ossea a causa delle condizioni di microgravità. Le ossa degli astronauti subiscono pressione limitata, ma l’assenza di gravità causa decalcificazione. Per aumentare la resistenza, vengono utilizzati speciali attrezzi fisici. Per aiutare l’attività cardiovascolare e per ridurre la perdita ossea, gli astronauti si legano a questi attrezzi e si esercitano per 15 minuti al giorno durante missioni che durano dai sette ai 14 giorni, o per 30 minuti al giorno se si trovano in una missione che dura 30 giorni.

I subacquei tecnici e rebreather hanno a che fare con i sintomi di quella che in inglese è definita “oxygen ear”, una sindrome da assorbimento di ossigeno da parte dell’orecchio medio che si presenta a seguito della respirazione di gas ricco di ossigeno nel corso di una immersione. L’orecchio medio può ancora contenere ossigeno, che viene metabolizzato dai tessuti circostanti. Il volume di gas diminuisce lentamente durante tale metabolizzazione, creando così uno squilibrio di pressione tra la parte esterna e l’orecchio medio. Solitamente i sub sono in grado di rimuovere questo differenziale di pressione a fine immersione senza alcun problema. Anche gli astronauti spesso soffrono della sindrome dell’ “oxygen ear” per le medesime ragioni. La maggior parte delle volte ciò accade dopo i voli di esercitazione su T-38 o durante passeggiate spaziali.

Gli acquanauti e gli astronauti sono l’esemplificazione dello spirito d’esplorazione umano. Il gruppo principale di astronauti alla NASA comprende soltanto due sub professionisti: Dr Michael L. Gernhard, già menzionato in precedenza, un ex sub commerciale, e il Capitano Heidemarie M. Stefanyshyn-Piper, un ufficiale subacqueo della Marina.

Tra il gruppo principale degli astronauti della NASA si può notare che il 50% di essi sono nuotatori professionisti o sub civili brevettati che praticano l’immersione subacquea come sport. Prevale un certo consenso nell’ammettere che l’adattabilità all’acqua è un prerequisito per avere successo come astronauta. Nessuno possiede tutte le caratteristiche necessarie per essere un “perfetto astronauta”. Ad esempio, alcuni acquanauti sono abili rigger e sono in grado di effettuare manovre in acqua senza sforzi particolari, mentre altri sono più agili e in grado di catturare pesci. Analogamente, alcuni astronauti se la cavano meglio nelle passeggiate spaziali mentre altri sono abili ad effettuare manovre in orbita.

La chiave sembrebbe dunque trovarsi nella giusta combinazione di individui in grado di bilanciare i punti di forza e di debolezza di ognuno, così da formare un team che possiede “tutto il necessario”. Gli acquanauti rappresentano il gruppo più attrezzato per scendere nelle profondità oceaniche e per salire nelle infinità dello spazio. Selezionare acquanauti per le missioni spaziali rappresenta un percorso migliore verso il successo ed aumenta le possibilità di creare un team vincente.

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