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Capire gli incidenti subacquei
Una riflessione sul DAN Annual Report indica come gli errori dei subacquei, i problemi con le attrezzature e la sottovalutazione di condizioni di salute contribuiscono agli incidenti, evidenziando al contempo dati inattesi sui rischi di infortunio secondo il genere, nonché la necessità di una cultura della sicurezza più solida.
Ogni incidente subacqueo ci riguarda direttamente. Ci ricorda che la nostra bella attività richiede molta consapevolezza e una corretta informazione. Nello scorrere molti casi esaminati dal DAN Annual Report salta immediatamente all’occhio che all’origine di tanti incidenti ci sono sviste, leggerezze, errori di valutazione, mancati controlli sulle attrezzature e sul proprio stato di salute, nonché l’assunzione di sostanze, tra droghe e farmaci, incompatibili con l’attività subacquea.
Mi è stato chiesto di descrivere le mie reazioni come subacqueo nel leggere il report. Eccole.
La percezione del pericolo
Durante la stesura di questo articolo mi sono imbattuto, presso altre fonti, in una bizzarra unità di misura: il Micromort. Si tratta di un’unità di rischio che indica la probabilità di morte su un milione in diverse attività umane, incluso alzarsi dal letto e percorrere 17 km a piedi. A prima vista sembrerebbe una goliardata. È invece un concetto introdotto nel 1980 da Ronald A. Howard, professore alla Stanford University. I valori dei Micromort possono variare all’interno della stessa attività da paese a paese e tra i diversi ambiti in cui sono stati raccolti i dati.
Secondo due survey effettuati da DAN e BSAC sui loro iscritti, nel 2010 la subacquea esponeva ad un rischio di 5 Micromort per immersione, ovvero di 5 fatalità per ogni milione di immersioni effettuate. Secondo la United States Parachute Association la mortalità per ogni milione di lanci (escluso il BASE jumping) è 9. Ma basta percorrere 1000 km in motocicletta o 170 km a piedi per totalizzare 10 micromort. Per ogni tentativo di ascensione del Cervino un alpinista ne accumula ben 2.840.
Se prendiamo questa bizzarra unità di misura statistica come una mannaia che cala a casaccio su cinque subacquei (rigorosamente DAN o BSAC in questo caso) ogni milione di immersioni, o su nove paracadutisti americani, siamo fuori strada. Questi numeri aiutano soprattutto ad aggiustare la nostra percezione del pericolo sulle attività umane e, se vogliamo, ad abbattere resistenze e pregiudizi. Come, per esempio, sui vaccini.
Il DAN Annual Report ci dice che l’evento imprevedibile, o sconosciuto, riguarda una porzione infinitesimale di incidenti, soprattutto quelli con esito fatale. Ci dice che alla comunità subacquea, che ha vinto da tempo i pregiudizi nei confronti dell’attività in cui s’impegna, probabilmente manca di un valore importante: una solida cultura dell’immersione.
Il fattore umano
Frugare tra i dettagli degli incidenti non è per niente piacevole. Ci sono un paio di episodi, nel report, che spezzano il cuore. Vere tragedie sulle quali sospendi ogni giudizio perché è la tristezza a prendere il sopravvento. Se quelle persone fossero state meglio informate o meglio preparate avrebbero agito allo stesso modo? Avrebbero corso gli stessi rischi? Ed ecco che concetti come il Micromort stridono con mondi fatti di regole, standard e procedure. La possibilità di incidente non è un’esazione, né un prelievo a caso. Non è nemmeno una lotteria.
Gli incidenti stanno diminuendo, è vero, secondo il report nel 2018 sono calati sensibilmente rispetto alla media del decennio precedente, ma anche questi numeri dicono poco. È triste leggere che c’è stata un’altra vittima per un problema antico: quello dell’apparente compatibilità tra bombole e valvole metric/imperial. In caso di errore (vanno assolutamente controllate le specifiche tecniche) la valvola può partire come un proiettile di cannone di piccolo calibro.
E poi leggo di polvere di ossido di alluminio. C’è stato un caso in cui la polvere biancastra è addirittura entrata nei polmoni di un subacqueo scatenando successivamente una polmonite. Un evento difficile da spiegare se non con la formazione di una sorta di aerosol all’interno della bombola ma facile da evitare con una ispezione e pulitura delle bombole a scadenze fisse.
Continuano, purtroppo, gli incidenti con l’ossigeno in superficie. Le fotografie delle ustioni dovrebbero essere un forte deterrente. L’ustione, anche quando non mette in pericolo i parametri vitali della vittima, è una delle lesioni più dolorose in assoluto ed una tra le più complicate da trattare. Niente di nuovo, insomma, sul fronte stanza del compressore. I manicotti dell’alta pressione continuano a frustare gli addetti ai lavori. 200+ o anche 300 Kg/cmq non sono forze con cui scherzare.
La mappa della frequenza degli incidenti ricalca la mappa delle destinazioni preferite dai subacquei
Non è una punizione. Su una strada dove transita un milione di veicoli è inevitabile che si verifichino più incidenti che su una strada in condizioni analoghe ma dove ne transitano diecimila. Il numero degli incidenti rintracciati dal DAN, e delle chiamate ai call center per paese ci indica, più o meno, le destinazioni più frequentate rispettivamente dai subacquei americani e canadesi, dai subacquei europei, dai subacquei, australiani, etc. Severità nei controlli e senso di responsabilità (vale per gli automobilisti come per i subacquei) possono fare la differenza. Nonostante queste variabili, la mappa disegnata dal DAN collima abbastanza bene con le destinazioni subacquee più frequentate.
Nessun subacqueo si sorprenderebbe leggendo che Florida, California, Hawaii e Messico siano in cima alla lista delle destinazioni dove si verificano più incidenti tra i subacquei americani. Sorprende invece l’Italia, con appeno meno richieste di assistenza alla hotline di DAN Europe dalla Thailandia, ma davanti a Indonesia ed Egitto per numero di chiamate, e poi Malta e le Maldive, due tra le destinazioni più richieste dai subacquei europei, ma agli ultimi posti per richieste di assistenza. Per dare una risposta a questi numeri, evitando facili sentenze da social network, servirebbero altre indagini e altri numeri. Le risposte portano sempre altre domande.
Sono più a rischio i maschi o le femmine?
Nelle statistiche sugli incidenti non fatali il barotrauma, e a seguire la malattia da decompressione, nelle loro varie manifestazioni si confermano in testa alla classifica. Nei casi di MDD la malattia con sintomi neurologici è purtroppo il tipo più frequente. Leggendo però tra i casi esaminati dal DAN, emerge un numero strano. Nei 16 casi in cui viene indicato il sesso della vittima, 7 riguardano donne, e le donne diventano la maggioranza tra i casi di MDD cutanea. Il numero è strano perché sappiamo che la percentuale degli uomini, nella subacquea, è assai più alta di quella delle donne.
Proseguendo nelle statistiche delle richieste di evacuazione di emergenza, noto di nuovo un numero apparentemente incongruo: nella fascia di età compresa tra i 30 ed i 69 anni il numero delle donne sembra veramente troppo alto. Nelle fasce 30-39 e 50-59 il numero delle donne supera quello dei maschi. L’impressione generale è che le donne subacquee subiscano quasi lo stesso numero di incidenti dei maschi, quando sappiamo che percentualmente sono in minoranza.
Forse sono fuori pista, ma anche se le osservazioni personali non hanno alcun valore scientifico, non posso fare a meno di pensare a tante MDD immeritate soprattutto tra le colleghe donne. O di pensare ad uno studio presentato quasi venti anni fa ad una conferenza a Sharm el Sheikh. Era uno studio condotto sui topi secondo il quale c’era correlazione tra elevata produzione di testosterone e bassa incidenza di MDD. Perdonatemi se non riesco a rintracciare lo studio, il portale per il quale avevo scritto l’articolo e la email che avevo usato per inviarlo, non esistono più.
Ad ogni modo, frugando tra gli studi più recenti ho notato che sulla questione è ancora vivo un interessante dibattito scientifico. Sempre riguardo al testosterone, sono convinto che un suo eccesso non protegga affatto da un altro tipo di incidente, quello che parte dalla testa del subacqueo. Bene, dal DAN Annual report abbiamo risposte che innescano altre domande. È la scienza, bellezza.
Sull’autore
Membro DAN dal 1997, Claudio Di Manao è Istruttore subacqueo PADI e IANTD, a Sharm el Sheikh in Egitto scrive e pubblica ‘Figli di Una Shamandura’, il primo di una fortunata serie di libri ironici sulla vita di subacquei e istruttori in Mar Rosso. Collabora con magazine, radio e quotidiani a diffusione nazionale occupandosi dei temi che più gli stanno a cuore, come l’ambiente marino, i viaggi e la sicurezza in mare. Tra le sue collaborazioni: Corriere del Ticino, ImperialBulldog, Radio Svizzera, Alert Diver, ScubaZone, Nereus.