Foto: Mirko Bevenja
Subacqueo preparato

Anidride carbonica: l’ospite indesiderato (parte 3)

Precauzioni e contromisure per promuovere più sicurezza

Nella prima parte di questa piccola serie sull’anidride carbonica e l’immersione, ho condiviso la storia del mio incidente sfiorato e ho fatto una breve panoramica sul metabolismo dell’anidride carbonica nel corpo umano. Nella seconda parte, ho esaminato i meccanismi di produzione e di eliminazione dell’anidride carbonica, le complicazioni dovute alla profondità e all’attrezzatura subacquea, nonché gli effetti spiacevoli e potenzialmente devastanti dell’ipercapnia.

Spero che le prime due parti abbiano reso chiaro quanto sia importante per noi subacquei evitare l’accumulo di anidride carbonica. In questa terza e ultima parte, vedremo come raggiungere questo obiettivo, nonché alcune precauzioni e contromisure a nostra disposizione. Possiamo raggrupparle in quattro categorie: evitare gli sforzi, capacità e abitudini personali, forma fisica e gestione dello sforzo respiratorio (Work of Breathing o WOB).

Evitare gli sforzi

Il migliore modo per evitare un accumulo di anidride carbonica è ridurne al minimo la produzione. Questo significa ridurre sforzi e dispendio energetico.
L’immersione non è primariamente un esercizio fisico. Mantenete un ritmo lento e costante e non pinneggiate inutilmente. In aree dov’è presente corrente, scegliete i punti di ingresso e di uscita in modo da poter seguire la corrente invece di pinneggiare contro. Una guida subacquea competente sa come leggere la tabella delle maree e prevedere forza e direzione del flusso. Organizzerà i tuffi di conseguenza.
Nelle immersioni ricreative, gli scooter o DPV vengono considerati soprattutto come gadget divertenti. Nelle immersioni tecniche profonde e in grotta a lungo raggio, invece, sono uno strumento essenziale per coprire le distanze e spostare più bombole senza affaticarsi troppo. Gli scooter sono costosi e non sono sempre disponibili, ma nelle mani di un subacqueo esperto possono fare davvero la differenza nel ridurre gli sforzi.

Capacità e abitudini personali

Oltre ad aumentare il divertimento di qualsiasi immersione, lo sviluppo di buone abilità personali è anche un ottimo modo per ridurre la quantità di CO2 generata. In questo contesto, le abilità più importanti sono il controllo del galleggiamento, l’assetto (trim) e la propulsione.

Il controllo del galleggiamento influisce direttamente sullo sforzo. Un subacqueo in assetto neutro non ha bisogno di sprecare energia per mantenere la profondità pinneggiando su e giù, e può fermarsi e riposare senza perdere la propria posizione nella colonna d’acqua. Questo permette di immergersi in assetto orizzontale (neutro) e di ridurre al minimo la resistenza dell’acqua nella direzione del movimento.

Una precisazione: non tutti i metodi sono efficaci. Si sa, molti subacquei si affidano principalmente ai polmoni per controllare il galleggiamento, e usano malvolentieri la valvola di gonfiaggio del GAV. Se è vero che i nostri polmoni si sono evoluti dalle vesciche natatorie dei pesci, ci sono vari motivi per cui riportarli a questo scopo ancestrale è una pessima idea.

Qui precisiamo che l’uso dei polmoni per il controllo del galleggiamento provoca schemi respiratori non ottimali e ritenzione di CO2 a causa di un’espirazione insufficiente. Lo stesso vale per la variazione del ritmo respiratorio nel tentativo di ridurre il consumo di gas, chiamato anche skip breathing. Rilassatevi e respirate in modo naturale, non siate pigri nell’usare il GAV e verificate il vostro livello di galleggiabilità costantemente, correggendo anche le variazioni minori.

Quando si parla di movimento, l’arma principale nell’arsenale di un subacqueo esperto è la rana. Con la sua fase di riposo incorporata, una pinneggiata a rana ben eseguita è di gran lunga il modo più efficiente per coprire le distanze sott’acqua. I subacquei tecnici e cave diver più esperti la usano di preferenza, pinneggiando per ore a ritmo costante. Le tecniche di propulsione secondarie, come il back kick o l’elicottero, possono migliorare ulteriormente l’efficienza nei movimenti ravvicinati, ma nel grande schema delle cose legate alla CO2, rappresentano la ciliegina sulla torta. Un adeguato controllo del galleggiamento, un buon assetto, e le pinneggiate a rana sono la torta.

La forma fisica (e l’arma a doppio taglio della tolleranza alla CO2)

La forma fisica è un concetto molto ampio che comprende diversi aspetti, tra cui forza, equilibrio e coordinazione. Quando si tratta di gestione della CO2 però, siamo interessati soprattutto alle prestazioni cardiovascolari. Queste sono strettamente correlate alla soglia anaerobica, ossia al livello massimo di sforzo sostenibile in cui le richieste metaboliche per l’apporto di ossigeno e l’eliminazione di CO2 rimangono entro la capacità del sistema respiratorio di un soggetto.

Il concetto di sforzo varia notevolmente da un individuo all’altro. Quello che per qualcuno è un semplice riscaldamento, può significare un vero e proprio allenamento per un altro. Anche se la forma fisica è importantissima sia per l’immersione che per la vita in generale, non ci si rimette in forma praticando solo subacquea.

Il modo più comune per migliorare la soglia anaerobica è l’esercizio cardio a ritmo costante, come camminare di buon passo o con pendenze, fare jogging, andare in bicicletta, nuotare per lunghe distanze o saltare la corda. Anche l’esercizio ad alta intensità (HIT o High Intensity Training) è utile, ma c’è un limite.

Gli atleti che praticano discipline dove si supera la soglia anaerobica ,a volte per diversi minuti -ad esempio nuotatori agonisti, corridori di media distanza, appassionati di crossfit e praticanti di sport da combattimento – non solo sviluppano una soglia anaerobica elevata, ma acquisiscono anche una maggiore tolleranza alla CO2, il che consente loro di continuare a lavorare a livelli di ipercapnia che la maggior parte delle persone non reggerebbe. Altre categorie con una tolleranza alla CO2 elevata sono gli apneisti ben allenati e, un po’ ironicamente, i fumatori.

Ora facciamo un’altra considerazione. Nelle immersioni subacquee avere un’alta tolleranza alla CO2 non è necessariamente una buona cosa. Come abbiamo appreso nella seconda parte di questa serie, il fatto di non sentire il fiato corto non salva da altri effetti dell’ipercapnia, come la narcosi e il deterioramento cognitivo. E quando la dispnea si fa sentire, può colpire ancora più duramente. Questo nn significa che non ci dobbiamo allenare, ma è un aspetto da tenere presente quando si valuta quanto sforzo si vuole fare sott’acqua, anche se si è molto in forma. Quando inizierete a sentire il fiato corto, potreste già essere nei guai.

Per coloro che non hanno voglia di passare tutto il loro tempo libero in palestra, sui trail o in piscina, c’è comunque una buona notizia: i requisiti di forma fisica per immersioni ricreative non sono molto elevati. Una forma fisica decente è sufficiente. Poi, se vorrete passare dal divano a correre una semplice 5km, questo contribuirà certamente a rendere più sicure le vostre immersioni. Passare dai 5 km ad una maratona, invece, potrà essere un grande risultato di per sé, ma ha un rendimento decrescente in termini di sicurezza subacquea.

Gestione dello sforzo respiratorio

Come visto nella seconda parte, lo sforzo respiratorio è influenzato da ulteriori carichi interni ed esterni durante l’immersione. Il carico esterno è l’attrezzatura subacquea, soprattutto l’erogatore. E’ importante che lo sforzo richiesto dall’erogatore per respirare normalmente sia quanto più leggero possibile. Come fare? Usando un’attrezzatura di qualità, mantenendola pulita e revisionata, e regolando la pressione di apertura del secondo stadio a un livello minimo. Se state usando un erogatore a noleggio e vi accorgete che è duro da respirare, fate notare il problema e chiedetene la sostituzione.

Conosco subacquei che hanno l’abitudine di ridurre l’erogazione dell’aria del secondo stadio, sostenendo che questo li aiuta a “risparmiare gas”. Questa è una delle cose più sbagliate che ho potuto osservare nella mia carriera di istruttore. Non solo aumenta inutilmente lo sforzo respiratorio e quindi la produzione CO2, ma la maggiore pressione polmonare negativa necessaria per attivare questo secondo stadio aumenta anche il rischio di edema polmonare!

La principale fonte di carico interno invece è la densità del gas, che purtroppo può essere gestita solo in due modi: limitando la profondità e utilizzando miscele con elio. L’elio è costoso e non tutti hanno il tempo o la voglia di fare corsi e imparare a usare il trimix. Anche l’idea di limitare la profondità a 29 o 37 metri (dove la densità delle miscele di O2/N2 raggiunge i limiti raccomandati da Gavin e Mitchell) non piace a molte persone. Per lo meno, i subacquei che amano andare in profondità in aria compressa dovrebbero essere consapevoli dei rischi, sia per loro stessi che per i loro compagni, che potrebbero non ricevere l’aiuto necessario in caso di emergenza, visto che lo stato fisico-cognitivo dei componenti del team potrebbe essere compromesso.

Riflessioni finali

La stragrande maggioranza delle immersioni si svolge senza problemi, senza che l’anidride carbonica giochi un ruolo decisivo. Tuttavia, quando un’immersione non va come previsto e le richieste metaboliche del subacqueo aumentano a causa degli sforzi, l’accumulo di CO2 nel sistema può trasformare una situazione gestibile in una situazione difficile, o peggio. Spero che questa serie di articoli abbia fornito alcuni spunti di riflessione e faccia un po’ di luce su come il nostro corpo genera e risponde all’anidride carbonica, su come questo aspetto si rifletta in particolare sulle immersioni e su come possiamo mitigare i rischi.

Restate allerta e godetevi le vostre immersioni!


Sull’autore

Tim Blömeke è istruttore di immersioni ricreative e tecniche a Taiwan e nelle Filippine. È un subacqueo con una grande passione per le grotte, i relitti e il circuito chiuso, nonché collaboratore e traduttore per Alert Diver. Vive a Taipei, in Taiwan. Puoi seguirlo su Instagram @timblmk.


Traduttore: Cristian Pellegrini

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