Foto: Mariona Yepes Daviu
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Equaleasy – cappuccio in neoprene e compensazione

Perdiamo calore soprattutto dalla testa. Tutti, anche quelli che la testa la usano poco. Infatti, questa energia non si dissipa per colpa dell’attività cerebrale, ma per la circolazione sanguigna. Spesso, per ridurre la perdita di calore dal capo durante l’immersione, usiamo un cappuccio. Malgrado il suo scopo, il cappuccio è l’unico sfortunato pezzo dell’attrezzatura subacquea che può interferire direttamente con la compensazione. 

Il cappuccio non è un articolo particolarmente amato dai subacquei, lo si evince dalle molestie che gli infliggiamo: lo riempiamo di buchi, oppure lo modifichiamo appiccicandoci delle orecchie da Topolino, da gatto, da coniglio, corna da diavolo o da vichingo. Quello che ho bucato io, con piacere perverso, era il cappuccio integrato alla semistagna. L’ho fatto con un trapano. Non ci comportiamo così con i GAV! L’antipatia verso il cappuccio trae origine da strane tendenze – del cappuccio, non dei subacquei.  Tutti i cappucci fabbricati sul pianeta cercano di riempirsi d’aria e di infilarsi sotto la maschera. Con su i guanti (succede spesso che vadano insieme) si fa sempre un po’ fatica a capire se il cinghiolo della maschera stia migrando sul lato esterno del cappuccio, si fa fatica ad estrarre la dannata porzioncina di neoprene che da sotto la maschera causa un piccolo allagamento. 

Profondamente consapevoli di questi fastidiosi eventi (non vogliamo assomigliare alla Marge dei Simpson, e non ci va di sistemare ln cinghiolo della maschera ogni cinque minuti) la più preoccupante delle caratteristiche del cappuccio è spesso ignorata dai subacquei: la tendenza ad incasinare le orecchie.

Conosci l’amico-nemico.

Il cappuccio troppo stretto è una delle cause più insidiose dei barotraumi. Quando il canale uditivo non è coperto, l’acqua lo allaga ed esercita direttamente la pressione sull’orecchio esterno. Un cappuccio molto stretto può ridurre significativamente il movimento dell’acqua verso il canale uditivo, o peggio, comportarsi come una ventosa che aderisce perfettamente al padiglione auricolare man mano che si procede con la discesa. All’inizio il subacqueo può non accorgersi del problema, le orecchie compensano bene. Invece si sta formando del vuoto in un canale uditivo e la membrana timpanica comincia a estroflettersi. Questa condizione, del tutto simile al colpo di ventosa della maschera, se non riconosciuta in tempo può danneggiare i tessuti del canale uditivo e il timpano.

Come evitarlo.

Un cappuccio dovrebbe calzare comodamente, come un guanto. Deve consentire all’acqua di raggiungere il canale uditivo e all’aria di uscire. Un trucco classico e ben rodato è quello di inserire un dito nel cappuccio in direzione dell’orecchio per facilitare la circolazione dell’acqua. Se siete subacquei cui piace brutalizzare i cappucci, potete praticare alcuni fori in corrispondenza del padiglione auricolare e coprire l’area con uno strato di tessuto non impermeabile. Questo favorirà la circolazione d’acqua nel canale uditivo senza troppi sciabordii che vi farebbero sentire freddo alla testa. Curiosamente, la maggior parte dei subacquei pratica fori solo sulla sommità del cappuccio, il punto meno strategico. Si fanno, ovviamente, errori peggiori. Su un forum ho letto, non senza un certo sgomento, il post di un subacqueo che chiedeva se per evitare i ‘soliti’ problemi di compensazione con il cappuccio poteva usare i tappi per le orecchie. Le risposte riflettevano tutte il mio orrore ed allarme in lettere maiuscole: i tappi per le orecchie in profondità possono trasformarsi in proiettili contro i timpani. Lo so che lo sapete, ma vale sempre la pena ricordarlo, non si sa mai.

Purtroppo per i subacquei da acque fredde, cappucci stagni con una valvola collegata alla bassa pressione sono ancora lontani dall’essere inventati, né una maschera gran facciale  risolverebbe il problema. Rassegniamoci all’idea che nel prossimo futuro l’acqua fredda dovrà entrare nel cappuccio. La buona notizia è che esistono in commercio cappucci riscaldati.

Per saperne di più


Risorse aggiuntive:

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Sull'autore

Membro DAN dal 1997, Claudio Di Manao è Istruttore subacqueo PADI e IANTD, a Sharm el Sheikh in Egitto scrive e pubblica 'Figli di Una Shamandura', il primo di una fortunata serie di libri ironici sulla vita di subacquei e istruttori in Mar Rosso. Collabora con magazine, radio e quotidiani a diffusione nazionale occupandosi dei temi che più gli stanno a cuore, come l'ambiente marino, i viaggi e la sicurezza in mare. Tra le sue collaborazioni: Corriere del Ticino, ImperialBulldog, Radio Svizzera, Alert Diver, ScubaZone, Nereus.

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