Foto: Alexis Chappuis
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Paura e delirio in immersione

La paura è un’emozione fondamentale e utile, sia per noi esseri umani che per i nostri parenti mammiferi. Segnala alla mente la presenza di una situazione di pericolo. Come tutte le emozioni, la paura svolge un ruolo importante per le nostre funzioni mentali. In immersione, ad esempio, la paura di entrare in una grotta buia e angusta segnala correttamente al sub che l’immersione in questo ambiente può essere più rischiosa, in particolare senza un adeguato addestramento.

La paura può anche essere controproducente: alcune persone non vogliono immergersi affatto perché hanno un’eccessiva paura degli imprevisti che potrebbero accadere durante l’immersione, come l’incontro inaspettato con degli squali. In altre situazioni, la paura può compromettere le prestazioni durante l’immersione e persino degenerare, portando al panico. Questi casi rappresentano una conseguenza impropria della risposta alla paura, generata dall’inserimento di esseri umani in un ambiente (mondo sommerso, uso di bombole) per il quale non si sono evoluti e al quale spesso non sono abituati.

In questo articolo scopriremo cosa ha scoperto sulla paura la moderna ricerca sul cervello, e come queste scoperte si collegano alle nostre immersioni.

Uno squalo nutrice grigio, osservato a Maroubra, in Australia. Questo squalo genera la paura di molti subacquei. È un mangiatore specializzato di pesci, come si può dedurre dai suoi denti appuntiti e affilati, ma gli incontri ostili con i subacquei sono estremamente rari. Nella maggior parte dei casi, il timore degli squali è una reazione errata all’emozione della paura.

La fisiologia della paura

Quando ci spaventiamo, ad esempio se accade qualcosa di imprevisto sott’acqua, il nostro corpo subisce una serie di cambiamenti fisiologici. La frequenza respiratoria aumenta, il cuore batte più velocemente e la pressione sanguigna sale. Forse hai sperimentato anche tu qualcosa del genere. E’ comunque importante sapere che non siamo in balia delle nostre paure: concentrando la mente e controllando attivamente la respirazione, possiamo gestire la paura.

Ecco quindi la prima evidenza della ricerca scientifica in materia: il cervello parla molto con se stesso. La maggior parte delle connessioni tra le aree cerebrali non proviene dai nostri sensi (il mondo esterno), ma da altre aree cerebrali. Le regioni cerebrali coinvolte nella pianificazione e nell’autocontrollo possono influenzare quelle coinvolte nella paura. Ma quali sono queste aree cerebrali?

La paura nel cervello

Il cervello umano è suddiviso in più aree, ciascuna con funzioni distinte nel controllo delle emozioni, delle sensazioni e dei comportamenti. L’area del cervello più coinvolta nell’elaborazione della paura è l’amigdala. Quest’area fa parte del cosiddetto sistema limbico, una rete di aree cerebrali coinvolte nelle funzioni emotive e involontarie. C’è un’amigdala su ciascun lato del nostro cervello. L’amigdala collega gli input dei nostri sensi, come la vista e l’udito, alle informazioni sugli eventi spiacevoli. In pratica, è un centralino del cervello che ci dice cosa dovremmo ragionevolmente temere.

L’amigdala è anche coinvolta nel cosiddetto condizionamento della paura: sperimentare un dolore mentre si sente un certo suono ci farà associare quel suono al dolore. Il solo suono potrà farci rabbrividire in futuro: abbiamo imparato a temere il suono. Gli istruttori subacquei più esperti hanno sicuramente conosciuto allievi che hanno rischiato di annegare durante la loro infanzia, e che da allora hanno più paura di andare sott’acqua. Questo tipo di associazione tra un evento traumatico (il quasi annegamento) e una sensazione (trovarsi in acqua) viene memorizzata nell’amigdala. Cancellare questo tipo di condizionamento della paura richiede impegno e pazienza.

L’amigdala è altamente interconnessa con un’altra area cerebrale, chiamata corteccia prefrontale mediale 1. Quest’area è coinvolta nelle funzioni esecutive, un termine elegante per indicare la pianificazione e l’autocontrollo. Le connessioni tra la corteccia prefrontale mediale (autocontrollo) e l’amigdala (paura) rappresentano la nostra capacità psicologica di regolare la paura.

Paura e narcosi

La maggior parte dei subacquei esperti concorda sul fatto che la narcosi da azoto influisce sul loro stato emotivo. Se parliamo di paura, gli effetti della narcosi possono andare in entrambe le direzioni: calmare o amplificare le paure preesistenti.

Alcuni studi scientifici degli ultimi decenni affrontano direttamente la relazione tra narcosi e paura o ansia – due concetti correlati ma non identici.2,3

Uno studio di Löfdahl e colleghi ha testato il modo in cui i soggetti valutano il contenuto emotivo di alcune immagini mentre si trovano in camera iperbarica a una pressione equivalente a 39 metri. A pressioni elevate, i soggetti giudicavano le immagini emotivamente spiacevoli leggermente meno impattanti, valutando le immagini che inducono paura come meno spaventose in profondità rispetto alle stesse immagini in superficie. Questo effetto calmante della narcosi potrebbe essere correlato al livello di esperienza del subacqueo, con i subacquei più esperti che si sentono più a loro agio nell’essere sotto narcosi.

Un secondo studio condotto da Hobbs e Kneller ha dimostrato invece come gli effetti della narcosi possono essere esacerbati dall’ansia. In questo studio, i soggetti – generalmente subacquei esperti con una media di 300 immersioni all’attivo – si trovavano in acqua, a circa 40 metri di profondità. Qui hanno eseguito un tipo di test del QI abbinando lettere e numeri su una lavagna, con un tempo limitato per completare il compito. Tutti hanno ottenuto risultati inferiori in profondità rispetto alla superficie. I subacquei che hanno dichiarato di essere ansiosi hanno ottenuto i risultati peggiori. La paura interferisce sempre con il pensiero rettilineo e sembra che l’effetto sia più forte quando si sperimenta la narcosi. È possibile che l’amigdala vada in sovraccarico in queste condizioni?

Le immersioni in profondità e su relitti sono attività che possono provocare paura nei subacquei.
Mugami Maru, Malapascua, Filippine, a 55 metri di profondità.

La narcosi influisce sull’amigdala?

Diciamo subito che una risposta certa non esiste ancora. L’effetto delle alte pressioni di gas sulla fisiologia delle nostre regioni cerebrali e sulle singole cellule nervose è un argomento di nicchia nella scienza del cervello.

Tuttavia, esiste un piccolo ma prezioso corpus di ricerche recenti sull’effetto che le alte pressioni hanno sulle cellule nervose in generale. Gli scienziati hanno scoperto che il funzionamento di queste cellule nervose non è determinato solo dai cambiamenti nella fluidità delle membrane cellulari. Le alte pressioni di gas influenzano anche le funzioni dei canali ionici, proteine che agiscono come porte nelle membrane delle cellule nervose. A mia conoscenza, tuttavia, nessuno ha studiato in modo specifico l’amigdala ad alte pressioni di gas ambientali.

È possibile collegare questi studi sui canali ionici ai cambiamenti nella funzione del nostro centro della paura, l’amigdala? Solo in senso molto generale. E’ vero che i canali ionici sono presenti in tutte le cellule nervose dell’amigdala, in combinazioni e densità diverse. Di conseguenza, tutte queste cellule nervose saranno influenzate in qualche modo. Per analogia, immaginiamo che qualcuno intervenga contemporaneamente su più componenti di una motocicletta, facendo modifiche a motore, freni, pneumatici… Questa combinazione di modifiche influirà sulla guida della moto? La risposta è quasi certamente sì, ma come esattamente, è un’incognita per tutti. Qualcosa di simile accade all’amigdala e al sistema limbico durante un’immersione profonda: possiamo aspettarci effetti significativi, ma non possiamo prevedere esattamente quali.

Siamo tutti esseri unici e indipendenti, soprattutto quando si parla di cervello. Le esperienze accumulate nel corso della nostra vita creeranno connessioni nell’amigdala in modi specifici per ognuno di noi – il condizionamento della paura di cui abbiamo parlato sopra. Qualsiasi paura che potremmo sperimentare durante l’immersione sarà il risultato di questo processo molto specifico di condizionamento.

Riferimenti:

  1. Reppucci, C. J., & Petrovich, G. D. (2016). Organization of connections between the amygdala, medial prefrontal cortex, and lateral hypothalamus: a single and double retrograde tracing study in rats. Brain Structure and Function, 221, 2937-2962.
  2. Löfdahl, P., Andersson, D., & Bennett, M. (2013). Nitrogen narcosis and emotional processing during compressed air breathing. Aviation, space, and environmental medicine, 84(1), 17-21.
  3. Hobbs, M., & Kneller, W. (2011). Anxiety and psychomotor performance in divers on the surface and underwater at 40 m. Aviation, space, and environmental medicine, 82(1), 20-25.

Sull’autore

Il Dr. Klaus M. Stiefel è un biologo, istruttore subacqueo e scrittore scientifico che abita nelle Filippine. Il suo ultimo libro “25 Future Dives” scritto con il Dr. James D. Reimer, è stato pubblicato nel 2024 con Asian Geographic (Singapore). Klaus pubblica foto e video subacquei sui social media sotto il nome di “Pacificklaus”.


Traduttore: Cristian Pellegrini

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